giovedì 24 aprile 2008

TENTATO SUICIDIO IN VIA RIPAMONTI

TENTATO SUICIDIO IN VIA RIPAMONTI

C’era ancora una esperienza metropolitana che mi mancava, nelle mie lunghe rotte pendolari da nord ovest a Milano sud, prima di laurearmi.
Dopo metà della mia vita di studente universitario passata sul tram 24 (ci si fa una cultura a viaggiare in tram, in tutti i sensi!), non ci si stupisce più se ad un certo punto mamma ATM decide di scaricarti molto prima rispetto a quella che dovrebbe essere la tua fermata: una volta un guasto, una volta piove, una volta c’è qualcuno che parcheggia male o, meglio, ancora, qualcuno decide che vuole tentare di farsi rifare l’auto nuova direttamente dalla società dei trasporti. Non sono mancate occasioni in cui quella landa desolata in quel di via Noto era raggiungibile solo a piedi. Rispetto alla sede centrale, a due passi dal centro, per noi gli scioperi dei conducenti erano un’automatica sospensione delle lezioni. “Qualcuno di voi vola?” chiese una volta Rossana Sacchi ai suoi studenti “No? Allora la lezione è sospesa!”, era l’adagio consueto.
Insomma, questo solo per dire che, in un modo o nell’altro, non ci si stupisce più. Questa volta mi va anche bene, perché vengo scaricato, insieme a un nutrito numero di utenti, a pochi metri dalla mia fermata “Ripamonti-Noto”, e posso tranquillamente farmela a piedi. Mi è però più difficile capire le ragioni di questa interruzione, soprattutto trovando tre grossi mezzi dei vigili del fuoco che ostruiscono la strada e un piccolo capannello di persone che si è raccolto intorno, naso all’insù, a guardare non si sa cosa. Non si sentiva odore di bruciato, né c’erano idranti in giro, quindi non si poteva trattare d’incendio. “Sarà qualcuno che ha lasciato il gas acceso” è il primo pensiero.
Invece no, dopo un po’ si riesce a capire che c’è una ragazza, di età indefinita, che ha deciso di buttarsi dal balcone della sua abitazione all’ottavo piano.
Non avrei immaginato che suicidarsi, o, meglio, paventare un suicidio, potesse muovere tutto quel casino: bloccare il traffico in due sensi con due tram, impegnare tre mezzi della sicurezza, un’ambulanza, uno squadrone di pompieri, e attirare una folla di curiosi sempre più numerosa (me compreso naturalmente). Insomma, una operazione di salvataggio in pompa magna, che rischiava magari di non incontrare nemmeno la gratitudine della diretta interessata coinvolta, ma che certo aveva destato enorme curiosità.
Dal vociferare di sottofondo si percepiscono gli umori degli astanti, spettatori curiosi di uno spettacolo reale, ma che poteva essere anche trasmesso dalla televisione. È mezzogiorno, quindi, come di consueto, entro nel solito bar per il mio primo più mezza naturale (lo stesso da qualche anno. Ultimamente prendo anche il caffè: tanto è nel prezzo!). Fino a non molto fa era gestito da una signora pugliese molto gentile, a cui ora sono subentrati due ragazze cinesi (di cui una un po’ tonta), un altro cinese e una cameriera brasiliana. In questo ambiente poliedrico ambiente si misurano le reazioni, dalla cinese tonta che, fa capire, sostiene che si buttasse, quella lì, e non ci si pensasse più, alla ragazza brasiliana che fa invece notare che, se proprio proprio ci si vuole suicidare, meglio buttarsi sotto la metroplitana: offre molte più garanzie di riuscita, in fondo. In effetti, se davvero questa ragazza, attesa da tutti e non vista, si fosse voluta buttare davvero, ora che i pompieri gonfiavano un enorme materasso (che ha destato l’entusiasmo del cinese: mi ha persino chiamato a gran voce per venire a vedere, abbandonando le mie penne al sugo e tonno), salivano con la scala fino al piano e tutto, il tempo di buttarsi lo avrebbe tranquillamente avuto. All’apice della suspense, finalmente si sente un vetro rotto e i nostri eroi che entrano in azione…rompendo la finestra dell’appartamento sbagliato!
Non ho mai maledetto tanto l’inizio di una lezione, che mi ha impedito di finire di vedere uno spettacolo quasi esilarante. Se fossi stato nei pompieri, però, a quel punto, avrei almeno preteso che la gentile ragazza si fosse poi gentilmente gettata per provare l’ebbrezza del volo sul materasso ad aria: almeno non sarebbe stato gonfiato per nulla.
In effetti, però, non manca un aspetto mediatico interessante; è come se intorno a questo fatto, tutt’altro che eccezionale, si fosse condensato un interesse diffuso per la cronaca nera: è la soddisfazione di poter dire di esserci stati e di poter raccontare la propria versione dei fatti (quella che naturalmente i giornalisti non riporteranno mai fedelmente come noi che ci siamo stati!). Dall’altra, in effetti, la cameriera brasiliana aveva ragione: se voleva suicidarsi davvero, non si sarebbe dato luogo a tutta questa inutile montatura, che non ha fatto che distrarre dall’obiettivo finale.
Ma poi, in ultimo, mi domando e mi chiedo: ma come vivrà ora questa benedetta ragazza in un palazzo in cui verrà ricordata come la matta che ha cercato di buttarsi di sotto, che ha creato tutto questo trambusto, e per nulla per giunta? Forse voleva essere un modo plateale di uscire di scena, e, se ci fosse riuscita, le sarebbe andato anche bene: così, però, detto in termini molto prosaici, resta solo un gran sputtanamento. Come dire, tornando a termini aulici, non sempre la gloria (per quanto momentanea) giova a chi l’ha ricevuta…

domenica 20 aprile 2008

scultori della Permanente a Garbagnate (fino al 12 maggio)

questo post è stato spostato nel blog "Nati sotto Saturno", cui si può arrivare attraverso l'apposito link nella colonna di sinistra oppure copiando questo indirizzo:
http://natisottosaturno.blogspot.com

Archeologia industriale. Garbagnate milanese (fra la stazione di Serenella e quella di Garbagnate centro)





Ho trovato una nuova fornace. Anzi, a dire la verità, ci sarò passato davanti non so quante volte, senza notare che sotto quel lungo comignolo che sbucava al di là dei binari della stazione vi fosse un edificio.
Fincheè un bel giorno mi sono deciso a perlustrare meglio la zona, specie dopo che mi fu segnalato che in quell'aria sarebbe potuta sorgere la nuova sede del liceo che avevo frequentato. Una volta scoperto il sottopassaggio ferroviario (che è sempre stato lì, soltanto che non me ne ero ancora mai accorto), mi sono addentrato, e finalmente ho scoperto questa nuova frontiera dell'archeologia industriale (o, meglio, dell'abbandono delle aree marginali), in cui mi addentro senza lasciarmi intimorire da un cartello di "sequestro preventivo" che incontro incollato male sopra una sbarra arrugginita e cadente. Mi ricodo però in quel momento che in quella zona c'era stato un centro sociale abusivo, che faceva persino delle proiezioni serali di film, ma che è stato sgomberato dopo un po'.
Quando arrivo per la prima volta in quest'area, sono quasi le sette di sera, alla fine di aprile, dopo giorni e giorni di pioggia. Con le luci basse del tramonto, questo rudere si presenta di una grandiosa bellezza: le luci radenti disegnano si vanno a insinuare fra mattone e mattone con u disegno quasi astratt, rimarcando il contrasto fra un interno molto buio e una luce bassa che investe completamente l'esterno.
La fornace è costituita da quattro corpi di fabbrica: uno grande centrale (la fabbrica vera e propria) e tre che lo circondano perimetralmente, aperti verso l'interno come se fosse una corte. Qua e là, per terra, degli oggetti metallici abbandonati di cui non comprendo bene la funzione; poi una carriola e un'altra macchina a cinghia tutta arrugginita, inutile e bellissima, quasi una scultura in mezzo a una adeguata installazione ambientale.
Poco distante, invece, una struttura metallica che possia su un telaio apparentemente debole, ma che crea una campata di grande spazio, quasi la navata di una cattedrale. In fondo, a pensarci bene, questi luoghi hanno il fascino romantico della rovina, sublime come l'architettura gotica mangiata dalla vegetazione tanto cara alla cultura anglosassone. Qui, se il Duomo di Milano fosse infestato dalle erbacce, o San Lorenzo, i milanesi ne avrebbero a male. Ma se sono relitti di trenta o quaranta anni fa, luoghi dismessi e abbandonati, di cui si ricordano solo i senza tetto che vi trovano ricovero, o i randagi che cercano un luogo appartato, allora ecco che fra i morti e sbeccati mattoni si insinua del verde, si ramificano piante che fanno anche in tempo a fortificare il fusto, a mettere radici e insinuarsi sempre più profondamente nella struttura: diventa quasi una appropriazione viscerale, un legame sugellato da un patto vitale. il mattone non può più fare a meno del rampicante, e il rampicante soffrirebbe ad essere diviso dal suo pilastro.
La presenza umana è del tutto assente, ma nel momento in cui ci si passa in visita, o in perlustrazione, ci si rende conto che questi sono luoghi "parlanti", interrogativi forse, certamente di una ruvida e brutale poesia: eppure, alle ultime luci della sera, in una incerta primavera, questo corpo di muratura sbeccata e ferita, nel suo immoto languore, sembra quasi cantare.

mercoledì 16 aprile 2008

fine dei bizantini....

Alla fine, dopo continue e ripetute incertezze, mi sono deciso a presentarmi all'esame di storia dell'arte bizantina, nonostante un gran minestrone dentro la testa e l'impressione che quel poco di memria libera che mi era rimasta fosse stata accuratamente passata con il frullatore: chiese che saltavano da un secolo all'altro, o che improvvisamente migravano da Costantinopoli in Serbia, poi in Grecia (in armenia no, perchè ero stato avvisato che le chiese armene potevo non farle!). Il grosso incubo era l'architettura bizantina, studiata su un libro di Mango con il testo che andava da una parte e le immagini a scorrimento in mezzo, ma non sempre direttamente legate al testo che si legge nella stessa pagina, insieme a una serie di libri e di saggi su argomenti pure interessanti, ma, alla fin fine, scritti piuttosto male: il docente titolare dell'esame, in particolare, aveva scritto un manuale pure utile (non essendocene altri equivalenti in lingua italiana), ma che non mancava, di tanto in tanto, di lasciare la mano a quella che si può dire l'arte del "cazzeggio" con la penna, cioè lo scrivere cincischiando intorno alle cose senza conludere nulla di utile.
A questo, poi, andavano aggiunti due ameni saggi non tanto sulla Santa Sofia di Costantinopoli i età Giustinianea, ma sui soli plutei.
Merita qui una precisazione, perchè ad una prima lettura di quel materiale, francamente, non mi era rimasto molto chiaro cosa diamine fossero questi plutei. Bene, in sostanza sono dei lastroni di marmo infilati fra una colonna e l'altra nella galleria che si affaccia sull'interno della Santa Sofia: in pratica, per dirla con termini della plebe....i balconi! Il saggio in esame si poneva il problema del perché i primi a riprodurre graficamente gli interni della chiesa non avessero mai rpestato attenzione a questo particolare, come se pensassero che, dalla galleria, uno potesse buttarsi liberamente nel naos senza troppi problemi! Insomma, interessante quanto si vuole, ma farci il centro di un saggio, non so. Forse sono io che non capisco il mondo bizantino.
Ad ogni modo, con qeusto grande minestrone dentro la testa mi presento all'esame che, come di consueto, è assiepato digente che non si sa più dove metterla: in una parola, il solito canaio! A questo si aggiunga che si facevano in contemporanea, con le stesso docente, due appelli diversi, nel senso che faceva sia gli esami di storia dell'arte mediavale sia di bizantina, dato che la moda attuale è che i corsi si mutuano: fai due esami diversi, ma il corso è lo stesso, e non è inerente nè all'uno nè all'altro.
ad ogni modo, trovo tre facce amiche, Marco, Massimo e Riccardo, e siamo tutti e tre come quello che in farmaci chiede quaranta camomille, e all'obiezione "ma a cosa le servono?" risponde "ma saranno cazzi miei?!?".
Comunque, in tempi brevi si arriva al dunque. Non è un esame simpatico, specie quando, dopo un po', ti senti fare un discorso del tipo "è inutile che ci giri tanto intorno, una domanda precisa ti ho fatto e voglio una risposta precisa", specie quando poi la domanda si va a circoscrivere...a una nota. "Ma voi della specialistica dovete essere più attenti, dovete leggere anche le note!". Tuttavia, a quell'uomo lì, che Daniela ha ribattezzato orso Yoghi, la parte dell'arrabbiato non sempre riesce bene: alla fine, guarda il libretto, e sconsolato mi dice, "30 no, le posso dare 29, le va bene?"
Qualcuno direbbe "piuttosto 28!"; io, di contro, faccio mio quanto mi disse un altro docente, a un altro esame: "Non è 30, ma è sempre meglio 29 che 28". In questo caso, aggiungerei anche: "E chi se ne frega se non ho ancora capito che cavolo ha fatto Anna Paleologina"!

martedì 15 aprile 2008

Ma chi cacchio era Anna Paleologina??? Deliri pre-esame assortiti


è proprio vero: il ripasso a ridosso degli esami è sempre deleterio. Se poi l'esame è di storia dell'arte bizantina, e non c'è un momento in cui non ti si attorcigli la lingua a pronunciare certi nomi, fra Alessio Apocauco, Costantino VII Porfirogenito (e ditemi che comodità deve essere nascere in una stanza foderata di porfido!), un imperatore, Giovanni Cantacuzeno, che decide di smettere di fare l'imperatore e farsi monaco (e ci credo, con un nome così!), che questi nomi non ti si mischino continuamente nella testa per cui non si sa più cosa avrà fatto uno e cosa l'altro, direi che le possibilità di fare confusione sono molteplici. A questo, il fatto che i bizantini, nei secoli fedeli (un po' come l'arma dei carabinieri) hanno replicato gli stessi soggetti per un millennio, e sempre allo stesso modo, non aiuta. Basta poi prendere una manciata di imperatori macedoni, una manciata di imperatori comneni (e anche questi, ditemi voi, che nome per una dinastia!), frullare tutto ben bene, e se il cervello non è già andato in pappa, è la volta buona che quel poco di amteria grigia rimasta decida che si è rotta i coglioni di stare in vostra compagnia (e di tutti questi bizantini assortiti buttati dentro quattro libri -nel caso di questo esame- scritti molto male).
Ma il punto cui volevo arrivare, però, è un altro, ed è un piccolo scambio di sms, "bizantinistico" naturalmente, che a tratti diventa surreale. Nel dubbio su alcune cose, infatti, scrivo a Daniela, la mia amica bizantinista cui questi "vecchiumi" piacciono tanto. Sapendo che il professore con cui devo dare l'esame aveva scritto un saggio su Anna Paleologina (imperatrice reggente del Trecento ma, soprattutto, antenata di casa Savoia), e che lei aveva studiato quel saggio, le scrivo:
"Ma alla fine questa Anna Paleologina che cavolo ha fatto?"
La risposta è semplice e secca, ma mi disarma un po':
"Niente: era italiana"
Onestamente, non mi pare sufficiente per dedicare un saggio a una persona. Oltretutto, questo risveglia il mio spiccato egocentrismo: anche io, in fondo, sono italiano, per cui replico:
"Quindi se i miei genitori mi chiamavano Simmaco Cantacuzeno dedicava un saggio pure a me?!?"
Ma la risposta di Daniela, che è persona saggia, è sintetica ma molto acuta:
"Può essere, ma avresti dovuto fare l'imperatore"
In effetti ha ragione, bisogna quindi trovare una alternativa:
"Ah già, che fregatura! E come si fa a fare un impero in tempi brevi? Se no, senti, il mio patrono [San Luca] è già un santo che dovrebbe star simpatico ai bizantini [il famoso ritratto della Madonna, da cui nascono tutte le icone, lo ha dipinto lui!], non basta? O devo diventare santo pure io?"
Nuova risposta, sempre sintetica:
"Prova! Meglio santo che martire"
Surreale...

domenica 6 aprile 2008

dal Michigan in Abruzzo


finalmente rientrano: due frammenti della custodia di Campo di Giove (che sto studiando da un paio di anni) rientreranno in Abruzzo dopo quasi sessanta anni passati in America. Il Museo di Grand Rapids, nel Michigan, ha infatti deciso di restituire queste due opere, come si può leggere da questa notizia:
http://www.woodtv.com/Global/story.asp?S=8118565
in particolare, "A graduate student in Italy noticed the resemblance between two pieces of Renaissance art, taken from the Church of St. Eustace in Campo di Giove, Italy in 1891, and pieces sitting at a museum in the US." anche se non citato ufficialmente, è sempre un bel riconoscimento per il sottoscritto.
Sono ancora un po' frastornato (ma anche un tantino orgoglioso) da questa notizia: mai mi sarei immaginato che questa ricerca, che pareva tanto impossibile, potesse dare tutti questi risultati!