Il nome di Longhi porta un po’ sfiga: bistrattato a destra e a sinistra, la sua memoria non è sempre servita della serietà che richiederebbe, e non manca il rischio di diventare bandiera di battaglie che, forse, il “Professore” non avrebbe mai combattuto.
La mostra della sua collezione presso la Fondazione Ferrero di alba, sua città natale, ne è stata una riprova. Vado con il pullman della stampa che parte da Milano in piazza Castello: la solita compagnia di giovani canuti e non troppo arzille carampane, ma se non altro non si paga niente!
Non mancano, questo è indiscutibile, opere che generano una forte commozione, come una forte commozione, come una strepitosa Madonna in trono col Bambino di Pietro da Rimini con intorno santi e angeli, con un indimenticabile Bambin Gesù in piedi sulle ginocchia della Madre, nella sua tunichetta lunga fino ai piedi, che strizza con due mani uno striminzito seno, ma con una tenerezza che pare una scena domestica. Oppure un piccolissimo Stefano da Ferrara che, per me, è stata una vera scoperta, con le sue figure uncinate e grifagne, violentemente espressioniste.
Ma tolgono il respiro, poi, anche i due Apostoli del Maestro del giudizio di Salomone, oggi riconosciute alla fase giovanile romana di Ribera.
A curare l’esposizione sono Gianni Romano, gran maestro degli studi piemontesi, e Mina Gregori, Presidente della Fondazione Longhi di Firenze, allieva prima e segretaria poi del “Professore” e nume tutelare della dimora longhiana; entrambi presenti qui per la presentazione alla stampa in auditorium. Dopo il breve intervento di Romano, durante il discorso della signora Gregori, arriva Vittorio Sgarbi, che viene fatto accomodare al banco, aspettandone un intervento. Non appena viene portata una sedia a Sgarbi, il professor Romano si alza inaspettatamente dal suo posto, scende dal palco e va a sedersi in platea.
Non mancano poi divagazioni elogiative per Mina Gregori, come la più fedele a Longhi, non invischiata con il mercato (!), mentre il Professore era tirato per la giacchetta da Previtali verso il marxismo, tanto da far pubblicare il Caravaggio dagli Editori Riuniti, de “Il Manifesto”, anziché dalla gentiliana Sansoni, “troppo fascista”! E divagazioni ancora su Longhi come scrittore fra i più grandi del Novecento che non si è dedicato al romanzo o alla commedia bensì alla critica d’arte con una poeticissima vena letteraria, i dissidi con Berenson e con De Chirico, per poi ricordare il dissidio fra Brandi e Zeri, specie dopo che Einaudi aveva pubblicato il brandiano Disegno della pittura italian, che Zeri definì disdegno, tanto da indurre Einaudi, per sanare la piaga, a fra curare la sua “Storia dell’arte italiana” dai due rivali Previtali e Zeri, appunto.
Non poteva mancare quindi una aggiuntina politica della Gregori, che improvvisamente si dichiara allieva di Croce, per via del suo sforzo di tenere la cultura fuori e distante dalla politica, perché questa fu la sola voce di conforto per gli antifascisti. Per questo, dopo Croce, “Longhi andava benissimo”. Ma la signora Gregori non si ferma qui, lanciandosi in un motto spericolato: “Il museo è la morte dell’arte”, perché le opere non si muovono più, convinzione da cui aveva maturato un grande interesse per il mercato, dove le cose invece si muovono (per poi prendersela più tardi, in mostra, con i giapponesi che, nei musei fiorentini, passano davanti alle opere senza nemmeno guardarle.
Finito il discorso, ecco che Romano si alza, torna sul palco ma non si siede di nuovo, limitandosi a rassicurare i presenti che “non era previsto il folklore finale” e chiosando: “per il resto spero che Croce, Longhi e Arcangeli non si rivoltino nella tomba.” a cui fa eco un grido di invettiva di Sgarbi: “Ladro!” accusandolo di essere la persona meno adatta a fare del moralismo dopo la vicenda della scultura di Giambologna che il comune di Torino decise poi di non acquistare. Anche la signora Gregori, comunque, nel successivo rinfresco, si è mostrata piccata del fatto di essere stata inclusa fra il “folklore”, mentre uno stormo fitto di giornalisti e giornalistucoli armati di taccuino si assiepava intorno a Sgarbi, nel suo pieno ruolo di icona mediatica, che rubava la scena ai diretti curatori (perché si deve riprendere Sgarbi che commenta il Ragazzo morso dal ramarro quando c’è Mina Gregori che a questi argomenti ha dedicato una vita di studi?) raccontando la sua verità sul caso Giambologna a Torino (l’occasione era buona per fare una dichiarazione alla nazione!). Uno spettacolo non edificante, in un’occasione pubblica, che restituisce un’immagine molto poco limpida della categoria.

4 commenti:
Allora Nico, ci siamo fermati con questi blog? Io almeno posto i miei insuccessi! Tutto bene tu??
Ciao cugino (me l'hai detto tu di commentare così ^.^)
Maria Cristina
Perche non:)
Si, probabilmente lo e
Posta un commento