lunedì 28 giugno 2010

Un museo sul K2

Un anziano amico pittore mi ha raccontato lo stravagante progetto di un suo collega, che ho conosciuto, al quale frulla in testa l’idea di realizzare un suo museo. Fin qui tutto bene, peccato che l’idea sia di fare questo museo sul K2, in una lega metallica speciale e costosissima, molto resistente alle alte come alle basse temperature. Il dettaglio è che si tratta di un museo blindato, precluso ai visitatori (ma del resto in cima al K2 non ci sarebbero andati in molti). Il termine “museo” con cui mi venne presentata questa idea, infatti, è tutto sommato impropria, trattandosi in realtà di un involucro realizzato in questa lega metallica, da collocare in un crepaccio di quella montagna. Bisogna però farsi una domanda: qual è la ragione di un “museo”, o di questa operazione in generale, in un luogo così impervio e così isolato, anzi davvero irraggiungibile? La spiegazione è semplice e si giustifica con la convinzione che fra due-trecento anni avverrà un grande rivolgimento, che la Terra come oggi la conosciamo non ci sarà più, mentre forse sulle alte cime non si soffrirà di questi sconvolgimenti. Le acque sommergeranno tutto e, allora, il grande involucro, intatto, ritornerà in superfici. In tal modo il museo sulla cima del K2 avrebbe superato la catastrofe e si sarebbe conservato per la posterità o, meglio ancora, per i superstiti. In buona sostanza somiglia a un deposito o, meglio ancora, a un bunker, a un container iper protetto che avrebbe tramandato il suo lavoro. Ha scritto anche un libro in cui racconta la sua vita fin dai primissimi giorni, e che si chiude, nelle pagine finali, con questo sconvolgente scoop. L’idea nasceva dalla presa di coscienza della difficoltà, a settant’anni compiuti, di poter entrare da maestro nei musei del nostro tempo, che le sue opere non sarebbero state accettate per tutta una serie di motivi. A questo punto, l’idea di fregare tutti sul lungo periodo e di proiettarsi in un incerto futuro, su uno scenario apocalittico: tutto sarebbe andato distrutto, ma le sue tele arrotolate dentro l’involucro, i suoi cataloghi e il libro della sua vita sarebbero rimasti come testimonianza della civiltà del nostro tempo. I nomi dei maestri del passato, anche recenti, saranno spariti tutti, non ci sarà più traccia nemmeno dei grandi della storia, ma i suoi dipinti saranno segni dello spirito di questa epoca!
Il progetto è talmente irreale da sembrare una burla, o una proposta fantascientifica fatta giusto per ridere, o per fantasticare su mondi possibili, non, come invece è, con la ferma convinzione della bontà di questa idea e del fatto che questa sia facilmente realizzabile, anzi affermando di avere persino dei contatti per uno sponsor che finanzi l’impresa. Ci sarebbero una serie di “ragionevolissime” spiegazioni fornite per aggirare i numerosi problemi tecnici che l’impresa pone, che però grazie al parente, all’amico e all’amico dell’amico sarebbero tutti superabili. Il punto debole, però, era soprattutto uno: chi ci dice che i superstiti che apriranno l’involucro saranno in grado di leggere in quei cataloghi e capire di cosa si parla, visto che non è detto che siano umani? Chi ci dice che riusciranno a decifrare i suoi quadri con gli stessi codici che usiamo noi? Ma soprattutto, che garanzie dà l’involucro sulla conservazione? Quanto dureranno quei dipinti, che sono materici e di colore spesso, arrotolati? Non si rischia che i futuri scopritori si troveranno delle tele grezze da cui il pigmento si è staccato completamente? Oppure, grazie alla mirabolante tecnologia che avranno allora, saranno in grado di leggere anche scritture che non conoscono e di restaurare dipinti di cui non sanno nemmeno come fossero fatti?
A quanto pare, però, ormai sul K2 non si può più depositare nulla, perché sembra che tutti gli esploratori che vi sono passati vi abbiano lasciato su qualcosa, quindi anche il povero K2 è ormai pieno ci cianfrusaglie.

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