Alan Bennet, Un visita guidata [2005], Milano, Adelphi, 2008
La conferenza raccolta in questa piccola pubblicazione fu pronunciata da Alan Bennet nel periodo in cui fu trustee della National Gallery (nomina ricevuta nel 1993) e verte intorno al rapporto fra lo scrittore e la pittura e le esposizioni d’arte. Non si tratta di una conferenza cattedratica, ma di un racconto brillante, ricco di considerazioni ironiche e disincantate che parte, soprattutto, da un approccio tutt’altro che serio e sacrale con le immagini: un modo di guardare, e di restituire sulla pagina, ben diverso dal modo aulico ed estetizzante di Bernard Berenson, che è il bersaglio iniziale delle prime pagine.
Ne è indicativa, in particolare, una definizione dell’iconografia, di cui si riconosce l’utilità come “antidoto” alla critica estetica: «Scoprire […] che i dipinti potevano essere decodificati, che erano anche esperienze intellettuali e non solo estetiche mi confortò parecchio, perché li inserì in un contesto più familiare e anche più inglese – se non altro perché gran parte dell’iconografia, raccontandoci chi è chi e cosa è cosa, può essere vista come una forma più elevata del nostro passatempo nazionale: il pettegolezzo» (p. 18)
Questo approccio, insomma, permette un rapporto meno reverenziale nei confronti dei capolavori, senza il timore di sottolinearne il lato paradossale ai nostri occhi, come il lato “ridicolo”, nella percezione di noi moderni, dell’iconografia dei santi («Conoscere i santi e le loro storie è un […] punto di chiacchiere. E qui a volte trovo difficile mettere a tacere il mio senso del ridicolo, anche se col tempo ho capito che ridere di un quadro non vuol dire non apprezzarlo. Mi è sempre sembrato che i santi e i loro simboli abbiano un lato comico, e alcuni più di altri.» p. 19; un esempio per tutti: «Quasi tutti i quadri sul martirio di san Sebastiano oscillano tra la pornografia e il ridicolo» p. 20). Una esperienza di fruizione, pertanto, che consente di fantasticare intorno alla pittura, di leggerla secondo la propria immaginazione, fino a congetturare i “problemi relazionali” di cui l’iconografia dei santi sarebbe sintomatica: «Secondo me il fatto che i santi non possano mai separarsi dagli strumenti del loro martirio e se li debbano portare appresso in ogni quadro è il sintomo di una grave insicurezza relazionale.» (p. 21). Per esprimere questo fatto, però, di passaggio Bennet racconta un episodio della propria esperienza cinematografica che è utile a comprendere il concetto di segno di riconoscimento che è peculiare dell’iconografia, cioè l’introduzione di una serie di elementi, di segni che rendono subito riconoscibile la persona o la figura raffigurata. La conclusione, però, instaurando un parallelo diretto fra l’aneddoto raccontato e l’iconografia dei santi, è esilarante: «Mi vedo la madre di san Lorenzo che pianta una grana se il figliolo si fa vedere in giro senza il suo barbecue» (p. 22)
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