domenica 17 giugno 2007

Bibliomanie: IL POSSESSO DEL LIBRO

Nella bellissima biografia intellettuale dedicata ad Aby Warburg, Ernst Gombrich racconta che Warburg, figlio di banchieri ebrei, aveva rinunciato a gestire le imprese di famiglia per dedizione agli studi umanistici e allo studio della rinascita del classico nella cultura occidentale e che si fece promettere dal fratello minore un vitalizio che finanziasse in toto i suoi studi. Il grande storico della cultura (non solo storico dell’arte) si trovò quindi nella dorata situazione di poter acquistar tutti i libri che voleva, tutti gli strumenti di lavoro che necessitavano ai suoi studi, anche quelli più costosi e introvabili. Ne è nata una delle biblioteche private più grandi e più importanti, oggi presso il Courtald Istitut di Londra, per larga parte degli studi umanistici.
Sarebbe il sogno di qualsiasi studioso e di qualsiasi amante dei libri, ma fatto salvo di non essere la reincarnazione di Aby Warburg, a tutti gli altri ciò non è consentito. Per questa ragione si impongono delle scelte, si deve ponderare cosa si prende e a cosa si rinuncia. Ciascuno si impone il proprio criterio di selezione, che in parte è indicativo del proprio rapporto personale con l’oggetto libro.
In genere una regola aurea, per quanto paradossale, è che chi può permettersi di comprare i libri non ha bisogno di acquistarli, perché li riceve in omaggio, in visione ecc… mentre ai morti di fame, che devo industriarsi per trovare lo sconto al centesimo, non regala niente nessuno. Ricordo un articolo di Guido Ceronetti sul “Corriere della sera”, diversi anni fa, in cui lo scrittore affermava che ogni giorno il postino gli scaricava davanti casa montagne di carta e di pubblicazioni spedite da autori ed editori con la speranza di riceverne un momento di attenzione, un parere, un giudizio di lettura, se non addirittura una recensione, per cui si trova a non acquistare più di una ventina di libri in un anno.
per converso, gli studenti sono per statuto squattrinati cronici, ragione per cui le università notoriamente sono il paradiso della fotocopiatrice: non lo ritengo un atto di pirateria, quanto piuttosto un fatto fisiologico. Molti docenti si scagliano contro i testi studiati in fotocopia, specie se si tratta di contributi con apparati iconografici, ma tant’è che il più delle volte i libri sono fuori commercio, o a cifre improponibili, assolutamente poco democratiche: sulle forme del libro e sulle sue funzioni sociali bisognerà riflettere in un’altra occasione.
Sono tanti, dunque, i criteri che si mettono in mezzo fra il bibliofilo (non il lettore) e il libro. Per molti è determinante il fattore logistico: “non ho più spazio”, “non so più dove metterli”. Il bibliofilo vero in genere se ne frega di questi problemi: per un amico cartaceo in più uno spazietto si trova sempre, anche sotto il letto! Ogni spazio è buono per dare rifugio a un nuovo ospite. Per molti, invece, diventa un filtro di discernimento, per cui si prende solo “quello che serve”, con il corollario che il resto viene percepito come “di impiccio”. Credo sia una scelta che spesso tradisce una scarsa confidenza con l’oggetto libro, una scarsa coscienza del fatto che i testi possano tornare utili anche in futuro, oltre il momento specifico dell’utilità nell’immediato. Soprattutto, il non-possesso del libro rischia di portarsi dietro una non appropriazione del testo per l’impossibilità di depositarvi sopra la propria esperienza di lettura.
Più vincolante il fattore economico, legato ad un effettivo incremento dei prezzi di copertina, che porta a escogitare le tecniche e gli stratagemmi più strani, i più curiosi. Comprare un libro non è un semplice atto di compravendita, bensì deve essere una folgorazione sulla via di Damasco: si deve sentire quell’attrazione tale da non poter fare a meno di un certo volume. Ci sono titoli che si sono cercati a lungo, per i quali si sarebbe disposti a rubare, e per i quali non ci sono freni che tengono. In tutti gli altri casi, invece, si possono mettere in atto varie tecniche. Una di queste consiste nel fare la posta a un dato libro per un certo tempo: non lo si acquista subito, anzi dopo il primo avvistamento lo si lascia dov’è, al massimo se ne sfoglia qualche pagina e poi lo si ripone. Si misura così l’effetto del “distacco”: se si comincia a sentirne la mancanza, allora si ritorna e lo si porta a casa. Oppure ci si affida al Caso: se è destino, vorrà dire che prima o poi ci si incontrerà di nuovo. Se invece, tornando nello stesso luogo, si osserverà che qualcun altro ha già razziato la copia agognata, voleva dire che non era destino, o che verrà un’occasione più propizia in futuro. Un altro criterio, anch’esso efficacissimo a mio avviso, consiste invece nell’affidarsi ai numeri, vale a dire si prende in mano il libro, lo si apre a caso e si fa la somma delle cifre che compongono il numero di pagina sulla destra: se la somma è pari vuol dire che quel libro deve essere comprato, se è dispari invece va lasciato dov’è. Ovviamente si possono invertire i termini e fare altre combinazioni, purché siano stabilite le regole prima di iniziare. In genere è bene fare tre tentativi di fila, in modo tale da ottenere sempre una maggioranza assoluta. È un sistema più funzionale di quanto si creda.
È naturale, poi, che questi sistemi possano essere contaminati o mischiati, in modo tale da creare una lunga serie di sistemi ibridi. È altrettanto scontato che si tratta di tecniche di auto-convincimento, ma ribadiscono un principio basilare: non si compra un libro come si compra un chilo di pane!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so per quale motivo, ma se dovessi scegliere tra numeri pari e dispari, sceglierei i dispari, quindi il prossimo libro lo acquisterò sperimentanto questa tua nuova teoria

Saw ha detto...

Certo Nico, il pane me lo mangio, la carta ancora no! Hihihihi! Scusa x la battutaccia... :(